Allucinazioni quali segni di disturbi del pensiero
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 25 gennaio 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La nostra scuola neuroscientifica ha sempre
considerato le manifestazioni cliniche principali di psicosi quali indici di una
globale alterazione della base funzionale dei processi psichici e, come tali,
ne ha promosso l’analisi. Lo studio degli psicotici secondo i metodi della
neuropsicologia e delle scienze cognitive, che ha visto il nostro presidente
tra i precursori, rivela frequentemente collegamenti fra allucinazioni, deliri
e deficit intellettivi e logici nei pazienti schizofrenici. Ma oggi si sta
affermando sempre più una pratica psichiatrica che, con la scusa della dimostrata
fallacia dell’interpretazione su base psicogena dei sintomi, tende a trascurarne
del tutto l’analisi nel contesto della fisiopatologia psicotica, considerando
esclusivamente la possibilità di eliminarli con i farmaci. Spesso senza chiedersi
se, ad esempio, cancellando l’attivazione impropria di aree che creano l’esperienza
allucinatoria di una percezione non dovuta alla reale recezione di stimoli esterni,
non si sia determinata anche una parziale e difficilmente rilevabile
depressione di attività fisiologiche.
L’allucinazione, quando sia causata dall’assunzione
sporadica o accidentale di uno psicodislettico, può essere considerata come una
flogosi circoscritta che si elimina con un antinfiammatorio, senza farsi altre
domande circa la sua origine. Non si giustifica, invece, un tale atteggiamento
quando la presenza contemporanea e protratta di deliri, allucinazioni, compromissione
cognitiva e sintomi negativi, quali anaffettività, anedonia, iporeattività
emozionale, povertà di linguaggio, perdita di motivazioni e interessi,
suggeriscono una psicopatologia psicotica di tipo schizofrenico.
George B. Mitropoulos dell’Ospedale Psichiatrico dell’Attica
(Atene) ha affrontato questo problema studiando, in particolare, le allucinazioni
uditive verbali, attualmente considerate sintomo caratterizzante se non
patognomonico di schizofrenia. Dall’esame accurato dei principali studi su
questo argomento, analizzati alla luce della personale esperienza, Mitropoulos
ha individuato un interessante rapporto di questo tipo di allucinazioni con la
base neurofunzionale necessaria all’elaborazione del pensiero verbale e all’esercizio
delle abilità comunicative.
(George B. Mitropoulos, Auditory Verbal Hallucinations in
Psychosis: Abnormal Perceptions or Symptoms of Disordered Thought? The Journal of Nervous and Mental Disease 208 (1): 81-84, 2020).
La provenienza dell’autore è la
seguente: 5th Psychiatric Department, Psychiatric Hospital of
Attica, Athens (Grecia).
La semeiotica psichiatrica classica operava delle distinzioni interessanti,
ancora valide per l’orientamento diagnostico, che qui di seguito si riprendono,
sia pure in estrema sintesi, per facilitare l’inquadramento delle tesi esposte
da Mitropoulos.
Le allucinazioni sono definite percezioni in assenza di oggetto[1], in contrapposizione con le illusioni
in cui l’elemento da vedere, udire o rilevare con gli altri sensi (oggetto) è fenomenicamente
presente nel mondo esterno, ma è distorto (illusione = alterata percezione). A scopo
didattico, nei trattati si citava il paragone semiserio di Lasègue: l’allucinazione
sta all’illusione come la calunnia sta alla maldicenza[2]. Il paragone voleva sottolineare il
carattere di invenzione ex-novo dell’allucinazione, come la falsa accusa
calunniosa, distinta dalla maldicenza che interpreta e riferisce in chiave
malevola un fatto reale.
Le percezioni distorte o non corrette di stimoli visivi, come la sensazione
di movimento di un oggetto fermo, la stima dimensionale alterata di una sagoma per
effetto di un particolare tipo di sfondo, il completamento soggettivo di figure
incomplete e altri fenomeni simili prendono il nome di illusioni ottiche.
È noto che Leonardo da Vinci esortava i pittori ad esercitarsi cercando di
riconoscere delle figurazioni nelle macchie sui muri: questa capacità di inferenza
percettiva si basa su processi elementari che in genere operano
automaticamente nell’illusione. Allora, una superfice marmorizzata, un fondo
variegato, una lamina di radica, una pietra levigata, così come le nuvole nel
cielo, possono assumere ai nostri occhi l’aspetto di una croce, di un volto, di
un corpo, di alberi, animali, figure di ogni genere e parti del corpo. Quando questo
tipo di immaginazione visiva raggiunge gradi molto elevati si parla di pareidolia.
Allo stesso modo, il fenomeno delle illusioni acustiche può farci
udire in un rumore intenso, continuo e protratto nel tempo, una melodia o un
suono assimilabile a una voce umana che pronuncia delle parole, o il nostro
nome o quello di una persona che conosciamo. Anche in questo caso c’è un
intervento interpretativo su una percezione in atto, e generalmente il soggetto
percipiente è perfettamente consapevole che quanto gli è sembrato di udire è solo
un “effetto” percettivo.
Diverso è il caso del paziente psicotico durante uno stato delirante acuto:
in tale circostanza è frequente che eventi e dati di esperienza siano
interpretati in accordo con i contenuti psichici della crisi, configurando una percezione
delirante. La percezione è distorta dal funzionamento delirante della mente.
Su questa base, così è definita l’allucinazione psicosensoriale: un
disturbo psicosensoriale diverso dall’illusione e dalla percezione delirante,
che consiste nell’esperienza psichica di un evento apparentemente rilevato nell’ambiente
o alla periferia corporea, ma che non ha avuto luogo nella realtà fenomenica
oggettiva[3].
La classificazione tradizionale prevede due grandi categorie: Allucinazioni
Psicosensoriali e Allucinazioni Psichiche, alle quali si fa in
genere seguire la descrizione della Sindrome d’Automatismo Mentale di de
Clérembault, che ingloba tutte le varietà di allucinazione, rifiutando l’ipotesi
che le differenze cliniche riflettano patogenesi differenti. Le Allucinazioni
Psicosensoriali sono così declinate: 1) allucinazioni visive, 2) allucinazioni
uditive, 3) allucinazioni olfattive e gustative, 4) allucinazioni tattili, 5)
allucinazioni cenestesiche e dello schema motorio, 6) allucinazioni motorie.
Tra queste, consideriamo le allucinazioni uditive che sono state oggetto
dello studio di Mitropoulos.
Le allucinazioni acustiche semplici, quali ronzii, sibili, fischi,
suono di campane o melodie musicali, sono dette anche allucinazioni
elementari e si rilevano più spesso nelle psicosi organiche.
Le allucinazioni acustico-verbali consistono in genere nell’udire “voci”
che il paziente può localizzare nello spazio e caratterizzare per timbro. Si
tratta delle allucinazioni più importanti in semeiotica psichiatrica, in quanto
caratteristiche della schizofrenia, nella quale rappresentano oltre il 60% di
tutte le allucinazioni, e presenti anche nelle psicosi affettive, incluso il
disturbo bipolare grave, nell’allucinosi alcoolica, nelle demenze da
neurodegenerazione, negli stati allucinatori da farmaci e da varie altre sostanze
psicotrope. Talvolta, il paziente sente una voce che gli si rivolge parlandogli
direttamente, con messaggi semplici e chiari, che sono ricordati con precisione
e riferiti in dettaglio, come per una vera esperienza percettiva. Altre volte
le voci sono più numerose e conversano tra loro. In altri casi, il paziente
localizza la voce nella propria testa e le attribuisce un’identità,
persuadendosi di possedere doti telepatiche o ritenendo che la persona in
questione abbia la facoltà di farsi ascoltare a distanza, entrando nella mente
degli altri.
Il nostro presidente citava il caso di una ragazza che, dopo un esordio
psicotico seguito a un trauma cranico per una caduta in parte causata dall’assunzione
di sostanze psicotrope ad un concerto dei Litfiba, sentiva nella testa la voce
di Piero Pelù, il cantante di quel gruppo musicale. La ragazza riferiva che di
tanto in tanto Piero Pelù lasciava la parola a un suo ex-fidanzato, del quale
era ancora innamorata. Entrambe le voci le rivolgevano complimenti o rimproveri,
le davano ordini e le proponevano riflessioni critiche sui suoi comportamenti.
La paziente manteneva un perfetto distacco emotivo dalla voce del cantante;
viceversa, la voce dell’ex-fidanzato aveva una notevole risonanza affettiva, e
lei confessava di identificarsi con lui al punto di condividere sempre tutto
quanto dicesse. Infine, quando per effetto del trattamento non udiva più la
voce del ragazzo amato, diceva di sentirne la mancanza.
Wyrsch, nelle sue disamine classiche, ha insistito molto sul valore diagnostico
nel disturbo schizofrenico dell’udire voci che parlano in seconda persona; al
contrario, questo autore ritiene che udire voci che conversano tra loro
indicando il paziente in terza persona sia caratteristico del delirio alcoolico[4]. Questa distinzione si è poi
rivelata erronea: entrambe le possibilità sono state riscontrate nella psicosi
schizofrenica e in stati psicotici di differente connotazione nosografica. Le
voci prodotte dal cervello del paziente per attivazione di frammenti memorizzati
e successiva trasformazione in forme di eloquio organizzato possono proferire
ingiurie, imprecazioni, termini sgraditi o tormentare il paziente con frasi intollerabili,
causando indignazione, sofferenza o innesco di crisi acute.
Alcune modalità di manifestazione delle allucinazioni uditive verbali sono
caratteristiche delle psicosi a tutte le latitudini e sono descritte secondo
stereotipi transculturali, che si ritiene dipendano da un particolare stato
fisiopatologico cerebrale: 1) eco del pensiero: le voci, oltre a
comunicare informazioni relative a uno sviluppo delirante in atto, ripetono il
pensiero della persona allucinata; 2) enunciazione e commento degli atti:
le voci descrivono tutto quanto il soggetto compie, mentre ciò avviene,
esprimendo talvolta giudizi[5].
Schneider afferma: “Particolarmente significative nella schizofrenia sono le
voci che dicono ad alta voce il pensiero del paziente, che fanno un commento
sulle azioni o sulle parole del paziente, che litigano o discutono in modo
acceso tra di loro. Esse si riferiscono al paziente in terza persona”[6].
I pazienti che presentano allucinazioni verbali fanno in genere un’esperienza
di puro ascolto di quanto si genera nel loro cervello, ma in alcuni casi si
osserva una lieve articolazione e silenziosa vocalizzazione delle parole da
parte del paziente. Il fenomeno, conosciuto da moltissimo tempo, fu analizzato
da Green e Preston nel 1981 adoperando un sistema di amplificazione che
consentì loro di rilevare che le parole biascicate o sommessamente sussurrate
erano le stesse che il paziente udiva[7].
Numerosi studi hanno dimostrato che gli schizofrenici che presentano
allucinazioni uditive verbali commettono molti più errori ai test di
interpretazione della parola udita degli schizofrenici privi di questo sintomo
e, naturalmente, delle persone sane di controllo[8]. L’analisi dell’elaborazione cognitiva
della percezione acustica dei messaggi verbali ha evidenziato negli allucinati
deficit in due facoltà: la tolleranza dell’ambiguità e l’impiego di significati
alternativi per l’interpretazione di parole poco familiari[9].
Andrew Sims aveva in passato affermato che i problemi di interpretazione
dell’identità delle voci da parte dei pazienti, esprimono “una alterazione
massiccia della delimitazione dei confini dell’immagine del sé, la possibilità
di discriminare tra ciò che è «sé» e ciò che è «non sé»” (Sims 1991, 1997)[10]. A nostro avviso, già a quell’epoca
si disponeva delle conoscenze necessarie per comprendere che non è certo una
questione di “confini dell’immagine di sé” ma di alterazioni di processi alla
base di numerosi aspetti delle funzioni mentali.
George Mitropoulos prende le mosse dagli esiti di numerosi studi che rilevano
negli psicotici affetti da allucinazioni verbali uditive (AVU) una disorganizzazione
complessiva dei processi cognitivi necessari alle abilità di comunicazione
verbale.
I collegamenti fra AVU e basi cerebrali della cognizione analizzati da
Mitropoulos possono essere così schematizzati:
1) le AVU sono associate all’attivazione
di aree della corteccia cerebrale implicate nella produzione e
nella percezione del linguaggio verbale;
2) le “voci” nei pazienti sordi
sembrano riguardare il messaggio – ossia il contenuto concettuale –
piuttosto che gli schemi fono-acustici alla base delle parole pronunciate e
udite nella comunicazione interumana;
3) il valore semantico o significato
delle AVU è spesso correlato con idee o tematiche deliranti del
paziente;
4) la localizzazione delle AVU da parte
del paziente nello spazio esterno o all’interno di sé, ha scarso peso
diagnostico;
5) le AVU sono spesso associate all’esecuzione
subvocale da parte del paziente di schemi fonoarticolatori verbali; poiché il
contenuto delle allucinazioni è identico a quello del discorso mormorato che le
accompagna, si è ipotizzato che la percezione allucinatoria derivi dall’erronea
attribuzione del linguaggio interno (il flusso del pensiero) a fonti
esterne[11].
L’insieme di queste evidenze, osserva Mitropoulos, sembra essere coerente
con nozioni sviluppate molto tempo addietro, nell’ambito delle teorie classiche
della scuola di psichiatria francese, quale la concezione di de Clérembault
menzionata in precedenza, e in quel particolare sviluppo linguistico delle
teorie freudiane realizzato da Jacques Lacan nel suo pensiero psicoanalitico. In
particolare Mitropoulos, estraendo dalla scuola psichiatrica francese elementi che
considera comuni con la teoria psicoanalitica lacaniana, realizza questa sintesi:
1) il mondo esterno è percepito attraverso una funzione linguistica integra; 2)
un disturbo del linguaggio è centrale nella fenomenica clinica della
schizofrenia; 3) le AVU rappresentano una frammentazione e una autonomizzazione
della funzione del linguaggio (pensiero) nei pazienti schizofrenici, come
voleva la nozione di “pensiero allucinatorio” di de Clérembault.
Attualmente, numerosi autori concordano su due questioni che Mitropoulos ha
così efficacemente schematizzato:
1) le definizioni operative
della pratica psichiatrica clinica attuale hanno portato a una
ipersemplificazione della psicopatologia conosciuta;
2) si sente il bisogno di una comprensione
più approfondita sulla base della conoscenza teorica, e di un’integrazione
dei diversi livelli di spiegazione dei fenomeni psicotici di cui attualmente si
dispone.
Tanto premesso, Mitropoulos conclude che le AVU dei pazienti psicotici
dovrebbero essere indagate andando oltre gli angusti limiti di una
classificazione che le considera alla stregua di semplici “disturbi della
percezione”, inquadrandole nel più ampio contesto delle alterazioni del
pensiero e del linguaggio.
In una nostra considerazione critica conclusiva possiamo osservare che, pur
apprezzando il lavoro dello psichiatra greco e il suo punto di vista
sicuramente più avanzato di quello della media dei suoi colleghi, riconosciamo
nel suo sforzo di sintesi un lavoro di compromesso fra ipotesi diverse sviluppate
sulla base implicita comune di una concezione modulare della psicopatologia. È
tale concezione, che concepisce i disturbi della psicosi come un’alterazione di
un singolo modulo (percezione, pensiero o linguaggio) o di più moduli, che è stata
superata dalle acquisizioni neuroscientifiche più recenti. La patogenesi e la
fisiopatologia non seguono questo criterio, ma piuttosto originano da
alterazioni di basi molecolari, cellulari e sistemiche a fondamento delle tante
sintesi funzionali specializzate, che si integrano spesso armonicamente in quell’insieme
di processi che realizza la mente umana.
L’autrice
della nota ringrazia il professore Giuseppe Perrella, ai cui
scritti ha attinto per introdurre il lettore all’argomento trattato, e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-25 gennaio 2020
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di
Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484,
come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] La definizione, ripresa da
numerosi autori, è attribuita a Ball (cfr. Ey, Bernard, Brisset, Manuale di
Psichiatria, Masson Italia Editori, p. 123, Milano 1983).
[2] Cfr. Ey, Bernard, Brisset, Manuale
di Psichiatria, Masson Italia Editori, p. 123, Milano 1983.
[3] La formulazione è del nostro
presidente, e sintetizza la concezione necessaria alla diacritica diagnostica.
[4]
Cit. in Ey, Bernard, Brisset, op. cit., p. 124.
[5] La nostra sintesi trova
riscontro - oltre che in Ey, Bernard, Brisset, ibidem - in trattati e
manuali classici (Arieti, Kolb, ecc.).
[6] Cit. in Andrew Sims, Introduzione
alla psicopatologia descrittiva (II ed.), p. 101, Raffaello Cortina Editore,
Milano 1997.
[7] Cit. in Andrew Sims, op. cit., p. 101.
[8]
Cfr. Andrew Sims, op. cit., p. 102.
[9] Cfr. Andrew Sims, op. cit., pp. 102-103.
[10] Andrew Sims, op. cit., p. 103.
[11] A nostro avviso la questione
chiave consiste nel comprendere come accada che i processi cerebrali che
corrispondono a un “flusso di pensiero” abbiano automatico accesso alle vie di output
verbale, all’insaputa del paziente, by-passando il livello del controllo
cosciente. Normalmente, numerosi sotto-processi che contribuiscono allo psichismo
rimangono al di sotto del livello della consapevolezza, fino a quando l’intenzionalità
noetica cosciente del soggetto non vi sofferma l’attenzione.